LIBERTA’, UGUAGLIANZA, FRATELLANZA di Ferruccio Grechi
Riflessioni di un uomo libero non condizionato da media e talk show
Libertà, Uguaglianza, Fratellanza: con queste tre parole si è aperta l’era moderna che ha distrutto regni e monarchie, ridato identità politica alle Nazioni e guidato tutte le insurrezioni che da allora serpeggiano nel mondo
La Giustizia dichiara che siamo tutti uguali davanti a Lei, eppure ogni giorno viene calpestata anche da chi dovrebbe ammininistrarla
Dal 2008 stiamo vivendo una crisi mondiale creata da banche e finanziarie eppure il il G20, il vertice governativo più importante al mondo, che si è riunito per discutere della crisi economica mondiale sapete chi l’ha sponsorizzato? Le banche e le multinazionali!
Le multinazionali e le banche hanno preso in ostaggio i nostri governi, ottenendo diversi fondi di salvataggio nonostante abbiano contribuito alla creazione della crisi. Ora hanno conquistato le chiavi d’accesso all’incontro che potrebbe decidere il futuro finanziario del pianeta.
La linea di confine fra le multinazionali e i governi si è sbiadita sempre di più, mettendo in pericolo le nostre democrazie e la nostra economia. I politici ricevono finanziamenti per le loro campagne elettorali dalle aziende, una volta eletti implementano politiche che tutelano i loro interessi e poi ricevono sempre dalle aziende incarichi strapagati una volta terminato il mandato. C’è una sola parola per descrivere tutto questo: corruzione.
Ora Société Générale, una banca francese salvata dal fallimento grazie ai soldi dei contribuenti e che cela numerosi interessi nei confronti della politica fiscale europea, è uno sponsor ufficiale del vertice. Beninformati hanno riferito ad Avaaz che questa banca e altre 20 multinazionali hanno pagato grandi somme di denaro per sponsorizzare l’incontro e sedere così al tavolo con i nostri governi
La crisi economica mondiale è risultata in gran parte dall’attività di banche spericolate prive di un quadro regolatore imposto dai governi, visto il controllo che le banche esercitano sui nostri leader. Questa presa in ostaggio dei governi da parte dei poteri forti è uno dei pericoli più grandi che fronteggiamo oggi, sia alla democrazia che a un’economia efficiente ed equa.
MA TUTTO CIO’ E’ SOLO UN ASPETTO, IN ITALIA ESISTE DI PEGGIO:
PRIVILEGI, CORPORATIVISMO, DEMAGOGIA, I TRE PILASTRI DELL’IMMOBILISMO
Pur avendo le mie idee, preferisco riprodurre un articolo apparso sul Corriere della Sera del 12 giugno 2011 a firma Ernesto Galli della Loggia che chiarisce senza ombre oscure il perchè sia impossibile cambiare l’Italia, se non con una rivoluzione culturale che sia talmente lungimirante da vedere l’insieme e non solo una parte circoscritta delle problematiche
Da più di vent’anni le «riforme» sono il grande mito della politica italiana. Invocate da tutti, promesse da tutti, dalla destra, dalla sinistra, quasi mai realizzate da nessuno. Ma regolarmente, imperturbabilmente, promesse sempre di nuovo da tutti. Sono il grande mito perché per giudizio unanime (ultimo quello del governatore Draghi: «L’Italia ha un disperato bisogno di riforme») sono la sola cosa da cui il Paese può sperare la salvezza: e cioè di riguadagnare il terreno che stiamo perdendo in tutti settori, di riacquistare efficienza, di ricominciare a crescere, di tenere insieme le sue varie parti.
Che cos’è che in Italia impedisce di «fare le riforme»? La risposta è semplicissima: la loro impopolarità. Ci troviamo ad essere strangolati da un paradosso micidiale: proprio perché sono così vitalmente necessarie, le «riforme» suscitano un’opposizione fortissima in grado di bloccarle. Enormemente più forte che in altri Paesi, questo è il punto. Ciò accade perché altrove, in genere, una riforma vuol dire un provvedimento impopolare sì, ma che non cambia le regole del gioco, non cambia il principio sul quale la società è costruita. Da noi invece no. Le riforme di cui noi abbiamo più bisogno, infatti, sono quelle che dovrebbero rompere proprio il meccanismo con cui funziona la nostra società, mutarne alla radice lo spirito e la mentalità. Quando in Italia si dice «riforme», bisogna esserne consapevoli, si dice in realtà «rivoluzione».
Qualunque sia il provvedimento a cui si pensi per modernizzare il Paese, per rimetterlo in carreggiata, ci si accorge subito, infatti, che esso va immancabilmente a colpire uno dei tre pilastri sui quali si regge gran parte della società italiana: il privilegio, il corporativismo, la demagogia. Certo: bisogna scorgere i concreti, concretissimi interessi particolari, settoriali, che ognuna di queste cose alimenta e tutela. Ma tali interessi, però, non avrebbero mai potuto costituirsi e solidificarsi come hanno fatto, senza una premessa di tipo essenzialmente culturale condivisa dall’intera società italiana. Che qui ha la sua anima, la sua più vera antropologia.
In Italia qualunque individuo così come qualunque istituzione, qualunque impresa capitalistica non sopporta ne il merito, né la concorrenza, né controlli indipendenti. Qualunque categoria, qualunque organismo non sogna altro che monopoli, numeri chiusi, carriere assicurate, condoni, esenzioni, ope legis, proroghe, trattamenti speciali, pensioni ad hoc, comunque condizioni di favore. E quasi sempre ottiene quanto desidera. Ricorrendo, come ho detto, all’arma vincente della demagogia. Specie a partire dagli anni Settanta, infatti, corporativismo e privilegi hanno progressivamente soffocato la società italiana costruendo (o avvalendosi di già pronte) costruzioni ideologiche menzognere, le quali avevano regolarmente al proprio centro i «diritti», la «democrazia», la «solidarietà»: parole d’ordine, discorsi, che agita ndo ogni volta la bandiera del bene e del giusto in realtà sono serviti unicamente a promuovere il più spietato particolarismo o a saccheggiare le casse pubbliche. Spessissimo a tutte e due le cose insieme.
E’ contro questa autentica muraglia socio-culturale – la quale nella sua essenza non è né di destra né di sinistra, potendo essere indifferentemente entrambe le cose – che da decenni s’infrange, o meglio si spegne appena levatosi, qualsiasi vento riformatore italiano. L’imponenza di quella muraglia, infatti, ha l’effetto di porre in una condizione di eterna minoranza la dimensione del bene comune, dell’interesse collettivo, che in tal modo non riesce ad avere alcun peso politico determinante. È per questo che le riforme non si fanno, e in particolare non si possono fare proprio quelle che ci servirebbero di più. Il dispositivo corporativistico-demagogico-antimeritocratico è divenuto lo strumento grazie al quale da due decenni il cuore maggioritario della società italiana reale neutralizza la sfera della politica, imponendo in cambio del proprio consenso la sua impotenza. Lo strumento grazie al quale essa neutralizza di fatto tanto la destra che la sinistra all’insegna della loro comune, certificata, impotenza; grazie al quale, infine, ne cancella i profili, ne vanifica identità e programmi. L’iperpoliticismo resta si, dunque, come un carattere tipico della sfera pubblica italiana. Ma esso non è più il predominio del comando politico sulla società, com’è stato fino alla fine della prima Repubblica. Ora è piuttosto la penetrazione/subordinazione capillare e dif fusa, l’uso continuo della politica da parte delle infinite articolazioni corporativo-antimeritocratiche della società. La quale realizza per questa via una sua antica vocazione: servirsi del potere, disprezzandolo.